Addio Megaviedo e Megaupload
La giustizia americana ha chiuso Megavideo, uno dei siti più famosi al mondo, ma la reazione del web non si fa attendere. L’FBI, in collaborazione con il Dipartimento di Giustizia americano, ha chiuso Megavideo.com e Megaupload.com, arrestando il fondatore, Kim Schmitz, più noto come Kim DotCom e altri tre manager della società. L’accusa è di aver inflitto un danno di 500 milioni di dollari per mancati profitti ai detentori dei copyright e ora gli indagati rischiano 50 anni di carcere. L’arresto del fondatore è avvenuto in Nuova Zelanda, una delle due residenze di Kim Schmitz che ha doppia cittadinanza tedesca e finlandese. A sostegno però del sito sono interventi gli hacker legati ad Anonymous che hanno bloccato i siti del dipartimento di Giustizia statunitense e delle grandi major musicali e cinematografiche.
La chiusura di Megavideo è il primo atto di una battaglia che è in corso negli States sul web: qui il Congresso sta dibattendo sul Sopa, la legge contro la pirateria online e nei giorni scorsi era partita la protesta di Wikipedia e altri siti americani.
Questo però non ha fermato l’FBI che ha proceduto alla chiusura del sito e all’arresto del suo fondatore anche grazie alla collaborazione con la Nuova Zelanda.
Megavideo e Megaupload in realtà non sono siti di file sharing, ma archivi dove gli utenti conservano file di dimensioni troppo grandi da mandare via mail e li condividono in via riservati. I guadagni per il sito arrivano dalle connessioni veloci messe a disposizione degli utenti e dalla pubblicità: sulla carta è tutto legale, ma per il Dipartimento di Giustizia c’è dell’altro.
Il sito per l’accusa ha “riprodotto e distribuito illegalmente su larga scala copie illegali di materiale protetto da copyright, tra cui film – anche prima dell’arrivo in sala – musica, programmi televisivi, libri elettronici e software“.
I reati di cui sono accusati gli indagati vanno dall’associazione a delinquere finalizzata all’estorsione, al riciclaggio e alla violazione del diritto d’autore, il che significa 50 anni di prigione per ciascuno.
Megavideo si è difeso qualche giorno prima della chiusura pubblicando una nota in cui apriva al confronto con le major, gelose a loro dire del successo dei siti.
Intanto però l’attacco è partito dal web in particolare da Twitter dove gli hacker hanno annunciato l’operazione #OpMegaUpload, oscurando i siti del dipartimento di Giustizia statunitense, della casa discografica Universal, della Recording Industry Association of America (Riaa) e della Motion Picture Association of America (Mpaa).